Ridurre il debito pubblico: perché farlo e come riuscirci
Ridurre il debito pubblico, almeno a parole, è l’obiettivo di ogni governo. Perché «ce lo chiede l’Europa», «è un freno allo sviluppo del Paese» e «un’eredità con cui dovranno fare i conti i nostri figli». Questo fermandosi ai luoghi comuni che si sentono ripetere più spesso. Ma cos’è il debito pubblico? Perchè è così importante? Com’è possibile ridurlo? Se desiderate una risposta a queste domande ma non avete mai osato chiedere, questo è l’articolo che fa per voi.
Cos’è e come funziona il debito pubblico
Come spiega molto bene il Centro nuovo modello di sviluppo, il debito si forma quando lo Stato e gli altri enti pubblici spendono più di quanto incassano. Un’operazione che può essere necessaria sia per erogare servizi che per effettuare investimenti, come accade a un piccolo Comune che accende un mutuo per costruire una nuova scuola.
Da dove arrivano i soldi che consentono agli enti pubblici di trovare i fondi di cui non dispongono? Fino a quando in Italia c’era la lira, al governo era sufficiente stampare nuova moneta, il che equivaleva a una forma di tassazione generalizzata: con più moneta in circolo, infatti, aumentano i prezzi (inflazione) e cala il potere d’acquisto di tutti i cittadini.
Da quando c’è l’euro e l’emissione di nuova moneta non è più decisa dai governi nazionali ma dalla Banca centrale europea, l’unico sistema con cui gli Stati possono trovare fondi che non hanno è rivolgersi al mercato finanziario. Emettendo titoli di Stato che gli investitori acquistano si finanzia la creazione di nuovo debito pubblico, che va ripagato con gli interessi.
Peso e struttura del debito pubblico italiano
Stando ai dati più recenti, il debito pubblico italiano ammonta a 2.260 miliardi di euro, in termini assoluti il terzo più alto del mondo dopo quelli di Stati Uniti e Giappone. Ma più importante del dato numerico è l’entità del debito in rapporto alla ricchezza prodotta dal Paese: in questa classifica siamo secondi in Europa con il 132,6%, dietro soltanto al 179% della Grecia.
Questo accade nonostante il fatto che da qualche anno il saldo tra entrate e spese dello Stato è positivo: il debito quindi non serve più a finanziare servizi o investimenti che altrimenti non potremmo permetterci, ma solo a ripagare se stesso. Nello specifico, oltre a rimborsare gli investitori, ci sono anche da sostenere le spese per pagare loro gli interessi.
E qui arriviamo al nucleo del problema: il debito pubblico italiano, infatti, si è formato strutturalmente negli anni ’60 e ’70, quando i governi utilizzavano spesso il sistema dell’emissione di nuova moneta sopra citato. Ma è da inizio anni ’80 a metà anni ’90 che è cresciuto enormemente in rapporto alla ricchezza prodotta: questo perché lo Stato ha dovuto pagare agli investitori sempre più interessi sul debito già contratto, che sono diventati via via prevalenti sulle spese vive per servizi e investimenti.
Perché e come ridurre il debito pubblico
Per far sì che la ricchezza prodotta dall’Italia non venga sprecata a ripagare gli interessi degli investitori impoverendo progressivamente tutto il Paese, diventa quindi sempre più necessario ridurre il debito pubblico drasticamente, non semplicemente contenerlo con soluzioni tampone come quelle messe in atto negli ultimi anni.
Un’idea per riuscirci arriva dall’economista Carlo Milani e dal manager Gabor David Friedenthal, che sul blog Econopoly del Sole 24 Ore propongono un patto fiscale proporzionale che sarebbe in grado di ridurre il debito pubblico italiano di 13 punti percentuali, portandolo immediatamente sotto il 120% del Pil.
Come? Con una tassa straordinaria del 5% sul patrimonio immobiliare e finanziario degli italiani, accompagnata da una riduzione corrispondente della tassazione su reddito e consumi. La misura consentirebbe di introitare 220 miliardi di euro pesando soprattutto sulle famiglie più ricche, mentre quelle più povere e il ceto medio – oltre a subire un impatto più contenuto – beneficerebbero in modo più significativo della riduzione sulla restante tassazione consentita dal calo del debito.
Si tratta di una proposta indubbiamente interessante, che avrebbe anche il merito di sostenere la ripresa senza pretendere che sia la crescita da sola a far calare il debito. Certo l’imposta potrebbe (dovrebbe?) essere progressiva per pesare in maniera più equa sui cittadini, e di sicuro un provvedimento del genere riuscirebbe a scontentare – oltre alla generalità degli elettori – tanto i puristi della crescita a tutti i costi quanto chi chiede la rinegoziazione se non addirittura il rigetto del debito nel suo insieme.
Ma forse la principale utilità di questa proposta è proprio nella possibilità che riesca a ravvivare il dibattito sul debito pubblico, fin troppo stagnante e riservato agli addetti ai lavori. Un dibattito che invece dovrebbe coinvolgere l’Italia nel suo insieme, visto il peso – nel vero senso della parola – che il debito ha sulla vita quotidiana di ciascuno di noi.
Tutte le immagini sono state realizzate da Franco Sacchetti per l’opuscolo Debito pubblico. Come uscirne senza strozzarci (Centro nuovo modello di sviluppo, gennaio 2014).
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