Luca Rasponi

Giornalista e addetto stampa, scrivo per lavoro e per passione.

Ut, recensione impossibile della strana fiaba di Corrado Roi

17 novembre 2016

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Ut: copertinaNon capita spesso di trovarsi di fronte a una rensione impossibile da scrivere: eppure è questo il primo pensiero che sorge spontaneo di fronte a Ut, la miniserie ideata e disegnata per Sergio Bonelli da Corrado Roi con la sceneggiatura di Paola Barbato.

In attesa della probabile ristampa in volume della serie – uscita tra aprile e settembre in 6 albi da edicola con variant cover per le fumetterie – il giudizio su un’opera così particolare e innovativa per il mercato del fumetto italiano non può che rimanere sospeso.

Ut è qualcosa di inafferrabile, anzi: ineffabile. Ovvero «che non si può esprimere o manifestare con parole», come spiega il vocabolario Treccani. Come fare dunque a descriverla? Proviamo per contrasto.

Avete presente la serie Bonelli più rivoluzionaria, dirompente e chiacchierata del momento, cioè Orfani? Ecco, scordatevela. Ut è l’esatto contrario.

Ut e il gatto LeopoldoSe la prima luccica dei colori brillanti di Alessandra Leoni & co, la seconda è avvolta nel bianco e nero ammaliante di Corrado Roi. Mentre Orfani è ipercinetica e ricca di colpi di scena in puro stile Recchioni, Ut è un lento crescendo dove non tutti i pezzi trovano il loro posto con il procedere della narrazione.

Ancora: da una parte una trama fantascientifica ma tremendamente concreta, dall’altra uno sviluppo onirico e intangibile. E per finire, se Orfani si ispira soprattutto alle atmosfere dei videogiochi e del cinema contemporaneo, Ut affonda le sue radici in una serie di fonti d’ispirazione completamente diverse, restituendo centralità al medium fumetto.

Lo scrive lo stesso Corrado Roi nell’introduzione all’ultimo volume: «Troppo spesso il fumetto guarda alle altre arti, come per esempio il cinema, cercando riferimenti anziché creare da zero». Nel caso di Ut il mezzo torna ad essere fondamentale per il messaggio che gli autori intendono veicolare, un messaggio che non per questo è autoreferenziale, ma che al contrario dialoga alla pari con forme d’arte spesso considerate più “alte” del fumetto.

La celebre massima di Marshall McLuhan «il medium è il messaggio» è solo una delle tante possibili fonti d’ispirazione che si possono identificare per Ut, che a dire il vero per essere decriptata integralmente richiederebbe numerose letture e un bagaglio culturale ampio e diversificato.

Ut: le vie della fameSolo per citare i riferimenti più evidenti, infatti, la serie spazia dalla semiotica di Umberto Eco – che peraltro nella storia regala le sue fattezze a Hog, uno dei quattro architetti genetici – al cinema degli anni ’20, con un personaggio che richiama fin dal nome Il gabinetto del dottor Caligari, capolavoro dell’espressionismo tedesco del regista Robert Wiene.

Anche i riferimenti tematici sono numerosi e profondi, prima tra tutti l’alienazione nei rapporti umani, caratteristica fondamentale di una società che qualcuno ha descritto come post apocalittica, ma che forse sarebbe meglio definire post umana. Infatti nel mondo di Ut l’homo sapiens come lo conosciamo non esiste più, sostituito da sotto-specie umanoidi guidate soltanto dalla soddisfazione degli istinti fondamentali, a cominciare dalla fame che dà il titolo al primo volume.

È in questo scenario che irrompe Iranon – altro rimando, in questo caso a un bellissimo racconto di H.P. Lovecraftche si risveglia privo di memoria da un lungo sonno, con l’unica preoccupazione di scoprire i segreti del suo passato.

La ricerca di Iranon, accompagnata da Ut (personaggio principale che dà il nome alla serie), ci porta a conoscere un mondo i cui abitanti sono praticamente immortali, ma preoccupati di poco altro al di fuori della propria sopravvivenza. Un mondo in cui la maternità non esiste più perché nessuno nasce, ma tutti vengono generati o duplicati da misteriosi costrutti organici noti come le Case.

Ut: le CaseProprio i duplicati e la loro proliferazione diventano allegoria della replicabilità dell’arte nell’epoca della cultura di massa, e di conseguenza della responsabilità dell’autore nei confronti della sua opera, che ancora una volta riporta alla semiotica di Eco.

Ut è uno scrigno di spunti innumerevoli e nascosti, che a tratti ricorda Cages di Dave McKean, From Hell di Eddie Campbell e Alan Moore o il miglior cinema di David Lynch, offrendo un terreno fertile di approfondimento e scoperta a chi abbia voglia di decifrare quest’opera così criptica e affascinante.

Ma al di là degli elementi narrativi e meta-testuali, Ut è anche una fiaba, misteriosa e (forse) incompiuta, che rieccheggia il senso – e il non senso – delle nostre azioni, la storia di un animo sensibile preoccupato per la sorte del suo gattino sullo sfondo di un’umanità morente e di un mondo in rovina.

Ut è tutto questo, e se proprio è necessario sintetizzare quest’opera in una parola direi, semplicemente, ineffabile.

Ut, Iranon e Iv

 

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