C’era una volta Cages, di Dave McKean
Una sinfonia. Una grande musica travolgente e perfettamente compiuta nonostante la dissonanza apparente di alcuni brani. Credo sia questo l’unico modo di descrivere a parole Cages di Dave McKean, provando a rendere giustizia almeno in parte a questo gioiello del fumetto mondiale. Ma penso che per capire davvero quest’opera sia necessario leggerla, e rileggerla ancora.
Era il dicembre di 25 anni fa (1990) quando negli Stati Uniti usciva il primo numero di Cages, concluso con la decima uscita nel 1996. Un lavoro particolare per un artista eccezionale, perché Dave McKean non ha davvero bisogno di presentazioni: pittore prestato al fumetto, ha realizzato tutte le copertine di Sandman, contribuendo al successo planetario della serie e instaurando con lo sceneggiatore Neil Gaiman un sodalizio che ha prodotto lavori di grande interesse come cui Violent cases (1987) e Mr. Punch (1994).
McKean non è il solo rappresentante del connubio tra pittura e fumetto: basta rivolgersi al mondo dei supereroi per incontrare un altro mostro sacro come Alex Ross. La particolarità di McKean, tuttavia, risiede nel suo approccio creativo del tutto originale, sia dal punto di vista tecnico – con la commistione di dipinto, disegno, fotografia e composizioni di oggetti reali – sia dal punto di vista figurativo, con illustrazioni astratte e concettuali, a tratti visionarie.
«Cerco di dipingere le cose in modo essenzialmente figurativo» fa dire McKean al protagonista di Cages, perché «non riuscirò mai a fare un albero bello quanto l’albero stesso». Nel graphic novel questo approccio viene elevato all’ennesima potenza, con un’alternanza di tavole disegnate, sequenze fotografiche e dipinti veri e propri, che spiazza e coinvolge riservando continue sorprese.
In un attimo si passa dalle nove vignette d’impianto tradizionale alla tavola dipinta a tutta pagina, con scene di vita quotidiana che lasciano spazio a creature fantasmagoriche e meravigliose. Questo però non si riduce mai a mero esercizio stilistico, tutt’altro: il maestoso apparato grafico è completamente al servizio della trama, anzi a tratti se ne fa carico completamente per l’impossibilità oggettiva di esprimere determinate emozioni, atmosfere o pensieri attraverso l’uso delle parole.
Ma allora cos’è Cages? Oltre alla musicalità e all’impatto estetico dell’opera, o meglio in simbiosi con questi elementi, c’è il racconto. Che prima di tutto è un racconto sulla creazione, artistica e divina. Le vicende del pittore Leo Sabarsky, in cerca di nuova ispirazione, vanno di pari passo con quelle di chi abita nel suo nuovo condominio, del quale l’artista si ritrova presto a condividere i destini e le storie.
Dallo scrittore tormentato all’anziana signora che attende da anni il ritorno del marito, dalla padrona di casa ficcanaso al musicista jazz che suona divinamente nel club sotto casa, fino alla donna del palazzo di fronte che cattura subito l’attenzione del protagonista. I personaggi di questa galleria, svelati sapientemente un po’ per volta nella loro essenza, sono accomunati in prima istanza dalla “gabbia” reale in cui vivono – il palazzo – ma soprattutto dalle gabbie esistenziali di cui sono prigionieri, diverse eppure simili nella capacità di costringerli in una soffocante immobilità.
Le gabbie che danno il titolo all’opera, però, non sono immediatamente visibili: come se le sbarre uscissero una per volta da una fitta cortina di nebbia, esse prendono forma nel corso del racconto, allo stesso modo di chi le occupa. Unico trait d’union tra i personaggi, almeno inizialmente, è un gatto nero che si aggira in misterioso silenzio tra gli appartamenti del palazzo, e che avrà pure lui un ruolo centrale nella narrazione.
Da questa pluralità di voci e storie nasce l’apparente dissonanza di alcuni brani della sinfonia: i passaggi da un capitolo all’altro, in particolare, possono sorprendere per le brusche virate tematiche e stilistiche, salvo poi trovare una spiegazione e un ruolo ben definiti nel corso del racconto. Una modalità narrativa che è tutto fuorché casuale, visto che il parallelo tra ricerca dell’ispirazione artistica e tentativo di comprendere il creato è l’architrave su cui si regge tutto il racconto.
Come i personaggi, solo nel finale il lettore arriva ad avere quella visione d’insieme necessaria a comprendere il quadro generale, salendo insieme al protagonista sul tetto del palazzo per potere ammirare la città dall’alto. E capire così la sua struttura, elevandosi dalla visione limitata dei vicoli che pure rappresentano il luogo dove si svolge gran parte della storia, e quindi della vita.
Serve aggiungere altro? Non credo, perché informazioni più dettagliate finirebbero per rovinare l’emozione e la sorpresa della lettura. Quindi lascio a chi vorrà la possibilità di conoscere più da vicino questo capolavoro della Nona Arte, e se fossi la signora Doris di Cages concluderei l’articolo come ogni storia che si rispetti, con un bel «felici e contenti» dopo l’iniziale «c’era una volta».
Per fortuna però la storia di Parlando con le nuvole non finisce qui: dopo quattro anni in solitaria, la rubrica si allarga a tre nuovi collaboratori, tornando alla periodicità settimanale da gennaio 2016. Più fumetti e storie sempre diverse: non potete proprio perdere il debutto dei nuovi autori, quindi continuate a seguirci!
Tag: alex ross, cages, dave mckean, Doris, fotografia, gabbie, gatto, graphic novel, jazz, leo sabarsky, mr. punch, musica, neil gaiman, pittura, sandman, violent cases