La mia tre giorni al Torino Film Festival
Seguire un festival culturale è un’impresa da professionisti. Se non vuoi fare il turista ma hai poco tempo a disposizione, servono esperienza e metodo per districarsi tra programmi foltissimi, orari a incastro, posti limitati e sistemi di prenotazione astrusi. Da questo punto di vista il Torino Film Festival non fa eccezione, anzi raggiunge vette di complessità talmente inutile e cervellotica da sfiorare il parossismo.
Hai un abbonamento giornaliero? Benissimo, ma dovrai fare file interminabili – anche un’ora – per accedere a metà delle proiezioni (quelle “grigie”, non prenotabili). E le altre? Escludendo quelle “gialle” riservate alla stampa, quelle “blu” possono essere prenotate. Ottimo! Attenzione però, perché la prenotazione può essere effettuata solo dalle 9 del giorno prima alle 13 del giorno stesso (!), e se anche hai prenotato ma per caso arrivi al cinema con 2 minuti di ritardo perché il film che sei andato a vedere prima è cominciato tardi, non ti fanno entrare. Non so a voi, ma a me viene in mente questa scena qui:
Se aggiungete che il programma è uscito solo dieci giorni prima del Festival e che sul sito della kermesse è consultabile soltanto per singolo film, senza alcuna distinzione tra proiezioni “grigie” e “blu”, capirete come sia stata un’impresa frustrante, al mio primo TFF, riuscire a capirci qualcosa. E non solo per me: ho assistito a numerose scene di protesta, senza contare i commenti delle persone in coda, nei confronti di un’organizzazione forse funzionale a qualche obiettivo imperscrutabile, ma di certo non fruibile né tantomeno piacevole per lo spettatore.
Per sfruttare a pieno il pass giornaliero, decisamente più conveniente del biglietto singolo che costa come un intero in quasiasi sala d’Italia, i tempi morti si azzerano e i pasti consumati in coda o direttamente in sala diventano la norma. Dopo un paio di giorni tra corse da un cinema all’altro e attese in coda, se hai la fortuna di essere in compagnia e accetti un certo livello di elasticità sul tuo programma la cosa diventa quasi divertente, fino a che prendi il ritmo e trovi l’equilibrio necessario per assistere a un film senza la preoccupazione per quello dopo.
E che film! La selezione del Festival è di prima qualità, un mix vincente tra classici del cinema e novità dalla scena europea e internazionale, con alcune direttrici tematiche che fanno da filo conduttore ai film presentati. Dalla dedica a Orson Welles (in cartellone oltre al celeberrimo Citizen Kane anche Mr. Arkadin e Touch of evil) alla retrospettiva fantascientifica Cose che verranno, dalla selezione del guest director Julian Temple Questioni di vita e di morte ai quindici titoli in concorso per la premiazione di sabato prossimo.
C’è solo l’imbarazzo della scelta tra bianco e nero e colore, tra pellicola e digitale, con molte proposte interessanti e centrate sui temi scelti. Tra i nove film visti personalmente, devo dire che soltanto Kilo two bravo di Paul Katis non mi ha conquistato, mentre ho apprezzato La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi e mi sono letteralmente entusiasmato di fronte a Idealisten di Christina Rosendahl e commosso dall’inizio alla fine con Suffragette di Sarah Gavron, film di apertura della kermesse e probabilmente il migliore tra le novità che ho visto di persona.
Un discorso a parte lo merita Symptoma di Angelos Frantzis, un film “da decifrare” che è molto difficile valutare alla prima visione. Con atmosfere che strizzano l’occhio a David Lynch e al Richard Kelly di Donnie Darko, evocato anche dalla scelta del coniglio come maschera-simbolo del film, la pellicola testimonia tutta la vitalità del cinema greco contemporaneo, sottolineata di recente anche da una rassegna della Cineteca di Bologna.
Quanto ai classici, l’ottimo Mr. Arkadin (1955) non sfigura accanto a pietre miliari della fantascienza come Stalker di Andrej Tarkovskij (1979) e The time machine di George Pal (1960), mente la grande sorpresa si rivela essere It happened here di Kevin Brownlow e Andrew Mollo (1965), ricostruzione minuziosa e sorprendente di un’Inghilterra dominata dai nazisti, in cui tra mille traversìe personali una giovane infermiera scoprirà la natura intima del fascismo e della sua idea di efficienza e ordine sociale, basata sulla brutalità di una discriminazione sistematica e pianificata con freddo raziocinio.
Un menu così ricco è ancora più appetitoso perché presentato all’interno di una cornice speciale: la città di Torino, antica e nuova nella sua eleganza proprio come i film scelti per il Festival, è un autentico paradiso del cinefilo, con i suoi tanti cinema storici uniti a perle di rara bellezza. Come il Museo Nazionale del Cinema, un allestimento coinvolgente nello scenario suggestivo della Mole, che vale decisamente il prezzo del biglietto e la pazienza necessaria a sopportare qualche operatore non proprio gentile. Il mio consiglio, per visitarlo durante il Festival insieme all’interessante mostra dedicata al neorealismo, è di scegliere accuratamente l’orario: arrivare in prima mattinata permette di evitare lunghe code per l’ascensore panoramico, che conduce a una straordinaria vista di Torino da 85 metri di altezza.
Quella del Torino Film Festival, per un cinefilo, è un’esperienza da fare almeno una volta nella vita. Se non altro per vedere film di qualità nella cornice meravigliosa offerta dalla città, anche se come me non siete appassionati di red carpet. E poi, dopo aver letto questo articolo, vi basterà solo mezza giornata per capire come funziona l’accesso alle sale… che aspettate? C’è tempo fino a questo sabato, quando le premiazioni concluderanno la kermesse: io faccio il tifo per Idealisten… e voi?
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