La notte in cui Jim Morrison divenne leggenda
A Parigi, nella notte tra il 2 e il 3 luglio 1971, succede qualcosa: James Douglas “Jim” Morrison lascia questo mondo, in circostanze tuttora misteriose. Il leader dei Doors, l’uomo che aveva stregato la musica con liriche allucinate e movenze rapsodiche se ne va in una stanza d’appartamento, disteso – si dice – nella sua vasca da bagno.
A trovare il corpo e chiamare le autorità è Pamela Courson, compagna di lunga data – pur tra infiniti alti e bassi – di Morrison, che non viene sottoposto all’autopsia probabilmente per timore che emergano le reali motivazioni del decesso, ovvero un’overdose da eroina.
Questa ipotesi, per decenni rimasta tale, è stata confermata negli ultimi anni da testimonianze eccellenti e attendibili, che hanno rivelato addirittura un collegamento tra la morte di Jim Morrison e quella di Janis Joplin, altra appartenente al Club 27.
Eppure, nei lunghi anni di silenzio seguiti a quella notte, la scelta di non effettuare l’autopsia ha sollevato un alone di mistero tutt’altro che nuovo quando si tratta della scomparsa delle grandi (rock)star, da Elvis in giù.
Un effetto forse contrario a quello voluto da chi prese quella decisione, o forse no, chissà… di fatto, non conoscere le reali motivazioni della morte di Jim Morrison ha dato la stura a tutta una serie di ipotesi, dalle più realistiche come quella dell’overdose alle più improbabili e fantasiose.
Come quella che voleva Morrison architetto della sua stessa morte, messa in scena per poter sfuggire dall’asfissiante pressione della ribalta. Un’idea più affascinante e meno assurda di quanto si potrebbe pensare, visto che lui stesso aveva manifestato più volte l’intenzione di sparire, rifugiandosi in Africa sotto falso nome.
Un nome che – è davvero il caso di dirlo – sarebbe stato tutto un programma: Mr. Mojo Risin’, anagramma di Jim Morrison dal significato emblematico, interpretabile più o meno come “il signor Mojo sorge” o “nasce”, “si leva”.
Un’aspirazione a una vita diversa, a un nuovo inizio libero da quella insostenibile pressione risultata fatale a molti tra i protagonisti della scena rock del secolo scorso, che è il denominatore comune a diverse morti eccellenti, come ad esempio quella di Kurt Cobain, tanto per restare in ambito musicale.
Nel brano L.A. woman, contenuto nell’album omonimo, l’ultimo registrato in studio con i Doors in quello stesso 1971, Morrison pronuncia più e più volte il nome Mr. Mojo Risin’, in una litania che diventa presto un grido. Ma più di un urlo liberatorio sembra il lamento di chi si sente in gabbia, di chi desidera scappare ma non riesce a rompere le sbarre.
Proprio questo dettaglio – la quasi concomitanza della canzone con la scomparsa – ha ammantato di ulteriore enigmaticità la morte di Jim Morrison e di conseguenza la sua figura, diventata una vera e propria calamita per i più giovani nei confronti della musica intrigante e psichedelica dei Doors (mi ci metto anche io, negli anni del liceo).
Quello che diventa interessante considerare, passato qualche anno, è il lato umano di questa vicenda, al di là del mito celebrato da libri, film e tutto il resto: Jim Morrison era poco più di un ragazzo, diventato una star all’età di 22 anni, che nei cinque successivi ha visto e vissuto di tutto e di più prima di andarsene tragicamente a 27.
Noi a quell’età dov’eravamo? Che facevamo? Avremmo retto a quella vita di eccessi, a quella celebrità smisurata, al peso delle aspettative del pubblico e delle pretese di discografici, produttori e compagnia bella?
Domande che rimangono sospese… un po’ come la mia visita al cimitero di Père-Lachaise, fatta nell’ultimo giorno utile del mio viaggio a Parigi nel 2012, caduto per una coincidenza nel 41° anniversario della morte di Morrison.
La grande idea di entrare nell’immenso cimitero senza mappa ha dato i suoi frutti: una fuga all’ultimo minuto per non perdere l’aereo di ritorno, e addio pellegrinaggio sulla tomba di uno degli idoli della mia adolescenza… sempre che, in questo momento, un Mr. Mojo ormai anziano non stia bevendo un drink alla faccia nostra su una remota spiaggia africana.
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