Lo Hobbit ed io: arrivederci a Hollywood e alla Terra di Mezzo
Dopo aver letto di tutto e di più sul web, tre giorni fa ho finalmente visto Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate, con ben poche speranze di uscire dal cinema senza svenire per lo sdegno. Eppure devo dire che il film non mi ha affatto sorpreso, confermando in pieno tanto le mie aspettative negative quanto quelle positive (sicuramente in numero inferiore).
Avendo visto anche i due capitoli precedenti, la mia domanda è: ma davvero qualcuno pensava che la trilogia si sarebbe miracolosamente ripresa con quest’ultimo film? Siamo onesti: i segnali negativi erano già più che evidenti ne La desolazione di Smaug, dalle pesanti modifiche alla trama fino alla volontà di spettacolarizzazione assoluta (peraltro tutt’altro che nuova, visto che lo stesso Legolas si esibisce in acrobazie decisamente impossibili anche nel Ritorno del Re).
Quindi che dire? La trilogia nel suo insieme non riesce a rendere merito né alla storia né tanto meno allo spirito del romanzo, ed è questo che dovrebbe lasciare l’amaro in bocca, a mio avviso. Non l’assurda storia d’amore tra Tauriel (?) e Kili, nemmeno Legolas in versione slow motion (Neo, Max Payne o Super Mario fate voi): aspetti che, a ben vedere, sono marginali.
Il fatto è che l’atmosfera fiabesca e magica del romanzo viene macellata e svilita dal tritacarne senza rispetto di Hollywood, che non ha il coraggio né la capacità di produrre vere fiabe d’atmosfera, che ammette solo sentimenti preconfezionati, non ha preoccupazioni diverse dall’incasso e ormai non sa più cosa significa produrre un’opera d’arte cinematografica.
Ma anche questo ce lo si poteva e doveva aspettare, non necessariamente perché in misura minore era accaduto anche con Il Signore degli Anelli, ma se non altro dopo aver visto La desolazione di Smaug (il primo film della trilogia, a mio modo di vedere, può ritenersi nel complesso salvabile, a parte il surreale flipper nella caverna dei goblin).
Il problema, quindi, non è necessariamente Peter Jackson, così come non è Tauriel e non è Legolas; il problema è un’industria cinematografica che sa produrre solo blockbuster di nessun valore, che non ha più idee e che quando ne prende in prestito una non sa far altro che modificarla geneticamente per renderla funzionale alle proprie esigenze.
E l’aspetto più triste della questione è che siamo noi stessi ad alimentare questa industria senza spessore, andando al cinema a vedere tutto quello che ci propinano in qualsiasi formato – la buffonata del 3D qualcosa vorrà pur dire. Il problema quindi è che la qualità dei film non importa più a nessuno, e che da prodotti del genere non ci si può certo aspettare la mano o l’originalità di Kubrick, Lynch o Fellini.
Detto questo, la mia opinione sul film è meno categorica di quanto ci si potrebbe aspettare, visto che lo ritengo non dico dignitoso ma passabile, e comunque in linea con il precedente e non troppo peggiore del primo. In sostanza, La battaglia delle cinque armate non è nulla di diverso da quello che poteva (e doveva?) essere, visti gli altri due capitoli della trilogia.
In questo senso, onestamente mi fa un po’ sorridere vedere adesso la sorpresa e l’indignazione dei tolkeniani della prima e dell’ultima ora: ripeto, i segnali c’erano tutti ed erano più che evidenti fin dal primo film. Del resto, visti i presupposti (a partire dalla scelta di fare tre film invece di uno), probabilmente non poteva andare diversamente.
Tutto questo non significa che io non sia amareggiato dal modo in cui Tolkien continua ad essere trattato un po’ ovunque, dalle strumentalizzazioni politiche alle spremiture commerciali. Dopo lo sfogo, però, arriva il momento della riflessione. Leggendo la lettera aperta di Lucia Pugliese a Peter Jackson, ho voluto scrivere anch’io in forma di lettera un saluto, un arrivederci a lungo meditato e infine arrivato. Il mio arrivederci alla Terra di Mezzo.
Caro John Ronald Reuel,
il mio percorso nella Terra di Mezzo è cominciato, tra enormi tomi e mappe sgualcite, quasi diciotto anni fa, con la mia prima lettura del Signore degli Anelli. Da quel giorno ho esplorato Arda grazie ai tuoi libri, ai giochi di ruolo e – non mi secca ammetterlo – ai film di Peter Jackson. Ovviamente non c’è nulla di paragonabile alla forza evocativa delle tue pagine, all’umanità dignitosa e reale dei tuoi personaggi, alle atmosfere intense e malinconiche dei luoghi che hai descritto.
Ora però sento di aver concluso il mio percorso esplorativo, e sono pronto per dirigermi verso altri lidi del fantastico. Sarà perché anche Il Silmarillion, Lo Hobbit e le altre opere del legendarium mi sono ormai familiari, oppure perché è passato tanto tempo dalla prima lettura. O ancora, perché mi sono stancato di assistere ciclicamente alle polemiche sulla tua opera da parte di chi nemmeno la conosce, e sicuramente non la ama davvero.
In ogni caso, questo non è un addio, ma un arrivederci: continuerò a esplorare le Terre Selvagge con un bel gioco di ruolo in compagnia di buoni amici, e quando avrò nostalgia di quel mondo così vero eppure lontano, potrò scegliere a occhi chiusi lo scaffale giusto, recuperare uno qualunque dei tuoi libri e immergermi a capofitto nella lettura, come ho fatto così spesso in questi ultimi anni.
Ma c’è anche qualcosa che, con la fine del 2014, vorrei salutare per sempre, o almeno il più a lungo possibile: quei blockbuster di Hollywood che riescono a snaturare quanto di più bello nasca dalla creatività dell’uomo; che si premurano di ricordarci ogni giorno che al mondo contano solo i soldi, almeno per chi manda avanti la baracca; che hanno trasformato la magia del cinema in un salasso economico, con un’overdose di pubblicità e un circo di effetti speciali da annoiare un bambino.
Questo è uno degli aspetti più sottili e ingannevoli di quello sviluppo materiale senza progresso umano incarnato dalla “fabbrica” di Sauron, che i tuoi piccoli hobbit hanno provato a combattere fino all’ultimo. Ed è quanto di più distante ci possa essere dallo spirito che anima le tue opere.
Per fortuna però, l’avventura non finisce qui: dopotutto, si può sempre uscire da questi claustrofobici multisala, trovare un cinema di provincia e un film che valga la pena di essere visto. «È pericoloso e impegnativo uscire di casa, Frodo. Cammini per la strada e, se non fai attenzione, chissà fin dove sei trascinato». Percorrere una via nuova sarà anche rischioso, ma Bilbo insegna: ne vale sempre la pena.
Tag: blockbuster, cinema, david lynch, federico fellini, gioco di ruolo, Hollywood, il ritorno del re, il signore degli anelli, il silmarillion, john ronald reuel tolkien, kili, la battaglia delle cinque armate, la desolazione di smaug, legendarium, legolas, lo hobbit, lucia pugliese, max payne, neo, peter jackson, stanley kubrick, super mario, tauriel, terra di mezzo, terre selvagge
D’accordissimo su ogni singolo punto di questo articolo che a parer mio, è il tuo più bello, anche meglio di quello sul gigante verde 🙂
Grazie per i complimenti, anche se io non lo ritengo uno dei miei pezzi migliori… sicuramente però è uno dei più spontanei: l’ho scritto di getto per pubblicarlo come post su Facebook e si è trasformato in un articolo praticamente contro la mia volontà, quindi mi rendo conto che possa risultare appassionante per chi condivide il mio punto di vista sulla questione! 😉
Ho letto che si parla di una serie tv sul ciclo della Fondazione di Asimov… e se a qualcuno venisse l’idea di una serie sul Silmarillion?
L’idea c’è già in realtà, come spiega bene questo articolo: http://www.francescomaltoni.it/2014/12/perche-il-film-de-il-silmarillion-non-si-fara-mai-peter-jackson/#sthash.wHJIJsO4.dpb
Il problema principale sta nel fatto che, a differenza delle due trilogie cinematografiche già realizzate, i diritti del Silmarillion sono ancora in mano alla famiglia Tolkien, che ha fatto sapere molto chiaramente di disprezzare tutti gli adattamenti usciti finora.
Quindi per vedere un adattamento del Silmarillion si dovrebbero attendere diversi decenni… e in ogni caso, visto com’è andata con Lo Hobbit, non sono troppo sicuro che sia una cosa auspicabile…