Orfani e Dylan Dog: viva la rivoluzione!
«Noi non facciamo cadaveri. Noi facciamo la rivoluzione». Con queste parole si conclude la prima stagione di Orfani, e mai balloon fu più azzeccato: se c’è una parola che descrive bene l’attuale stato di fibrillazione del fumetto italiano, quella è proprio rivoluzione. Attenzione però: qui cominciano gli spoiler.
Chi ha seguito dall’inizio la miniserie creata da Emiliano Mammucari e Roberto Recchioni ricorderà che il grido di battaglia dei protagonisti, almeno inizialmente, era ben diverso. «Noi non facciamo arte. Noi facciamo cadaveri» ruggivano all’unisono Jonas e compagni, quasi a sottolineare l’assenza di pretese artistiche della serie.
Qual è il motivo di un cambio così radicale? Semplice: una vera e propria rivoluzione. Se i primi dodici albi erano serviti a introdurre e caratterizzare cinque personaggi, raccontando l’intrecciarsi delle loro vicende con il destino dell’umanità, l’ultimo episodio della serie disfa clamorosamente la tela pazientemente elaborata per un anno intero.
Come? Ancora più semplice: uno degli Orfani – Ringo, in arte il Pistolero – scopre che la guerra per la quale lui e i suoi compagni vengono addestrati da tutta la vita è una menzogna, e si ribella al comando militare terrestre. Fin qui niente di particolarmente eclatante, direte voi. Il problema è che Ringo, disposto a tutto pur di svelare al mondo la verità, trova sulla propria strada i suoi compagni. E li uccide tutti, uno per uno.
Da qui la rivoluzione: l’albo successivo, in edicola dal 16 ottobre scorso, non è il numero 13 di Orfani, ma il primo di una nuova miniserie-nella-serie intitolata Ringo, che narra le gesta in solitaria dell’ex super soldato trasformatosi in ribelle. E gli altri? Automi, non morti, poco più che servi nelle mani della spietata dottoressa Juric, che da semplice consulente strategica è diventata presidente del governo terrestre, approfittando delle difficoltà create proprio dall’insubordinazione del Pistolero.
In attesa di conoscere gli sviluppi della seconda stagione, per Orfani è tempo di un primo bilancio. Premiata da buoni risultati di vendite e dal consenso di pubblico e critica dopo un inizio al di sotto delle attese, dal punto di vista grafico la prima serie interamente a colori nella storia di casa Bonelli non ha deluso le aspettative generate al momento del lancio. I colori di Annalisa Leoni, davvero spettacolari, hanno valorizzato tavole per la maggior parte di ottima fattura, giustificando pienamente il prezzo di copertina più alto del 50% rispetto a un tradizionale albo Bonelli.
Se la veste grafica di Orfani si è dimostrata notevole, lo stesso non si può dire della trama. Sostanzialmente avvincente e con la giusta dose di colpi di scena, la serie ha prodotto un finale interessante, forse in parte prevedibile ma comunque “disturbante” nel senso più intrigante e positivo del termine, dal momento che il protagonista – pur scegliendo quella che può essere grossolanamente definita “la strada giusta” – lo fa nel modo più brutale e disumano possibile.
L’escalation di violenza fratricida degli ultimi albi, però, lascia una certo grado di perplessità: buona parte della storia era servita a caratterizzare un gruppo di personaggi che in poche pagine vengono spazzati via, in un climax che imprime un’accelerazione forse eccessiva al ritmo narrativo della serie.
L’effetto complessivo è quello di una trama che non sembra svilupparsi con naturalezza, con personaggi che – nonostante il tentativo evidente di dar loro profondità – paiono andare meccanicamente verso un finale prestabilito. Da questo punto di vista, lo stratagemma dei due racconti paralleli tra passato e presente non sempre funziona, anzi in alcuni momenti risulta persino fastidioso, producendo un andamento della narrazione “a strappi” che rafforza la sensazione di uno scorrimento non fluido della trama.
L’attenzione molto decisa per i protagonisti si ripercuote inoltre sugli elementi secondari della storia: l’ambientazione appare poco curata, i personaggi di contorno quasi inesistenti. Gli attori principali, non più di una decina, sembrano muoversi nel vuoto, pur immersi in una scenografia grafica e cromatica elegante, a tratti persino maestosa.
Lo “stile Recchioni”, peculiare e riconoscibile quanto apprezzato dai lettori, in alcuni momenti – dialoghi e scene d’azione in particolare – diventa eccessivo e a tratti persino un po’ vuoto, a differenza di altri lavori dell’autore in cui questa impostazione da action movie risultava perfettamente cucita su misura per la storia narrata.
Certo, non è finita qui: Orfani è appena a metà percorso, quindi speriamo possa regalarci ancora emozioni e sorprese. Intanto però la rivoluzione in casa Bonelli continua, e il ricercato numero uno è sempre lui: Roberto Recchioni. Da circa un anno direttore editoriale di tutte le testate legate a Dylan Dog, nell’ottobre 2013 il creatore di John Doe ha avviato il rinnovamento dell’Indagatore dell’Incubo lanciando la Fase 1, raccontata proprio su queste pagine.
Dopo un anno di storie “rivedute e corrette” ma già progettate in precedenza, il team di sceneggiatori capitanato da Recchioni ha potuto dare avvio alla Fase 2, con il rilancio radicale, a lungo atteso e più volte annunciato, della serie con protagonista l’inquilino di Craven Road.
Spazio profondo (numero 337, sceneggiatura di Recchioni e disegni di Nicola Mari) ha fatto da prologo alla rivoluzione vera e propria, inaugurata con l’episodio successivo. Un prologo, però, tutt’altro riempitivo: Spazio profondo è una storia «anomala e folle, nella miglior tradizione di Dylan» (parola di Tiziano Sclavi), interamente a colori, e con un’insolita ambientazione fantascientifica che strizza l’occhio a classici del genere come Alien, 2001: Odissea nello spazio e Solaris senza rinunciare alle atmosfere horror tipiche della serie.
Una preparazione simile non poteva che produrre una partenza coi fiocchi. Mai più, ispettore Bloch (numero 338, sceneggiatura di Paola Barbato e disegni di Bruno Brindisi) è già un classico del fumetto italiano, se non altro perché trasforma in realtà un evento a lungo desiderato (dal diretto interessato) e temuto (dai lettori): il pensionamento dell’ispettore Bloch, presentato con un omaggio a The Amazing Spider-Man 50 tanto nel titolo quanto nella copertina di Angelo Stano.
Con una storia dai risvolti sorprendenti e inaspettati, forse migliorabile ma sicuramente interessante, prende il via la Fase 2 del rilancio di Dylan Dog, che riserverà sicuramente cambiamenti e novità all’Indagatore dell’Incubo. All’orizzonte, infatti, si affaccia già un nuovo nemico: il suo nome è John Ghost, elegante e insensibile uomo d’affari pronto a scatenare il Caos sul mondo.
Dov’è stato avvistato? In un albo a tiratura limitata prodotto in occasione di Lucca Comics & Games 2014, insieme alle edizioni speciali con variant cover di tre albi già usciti in edicola: il numero 337 di Dylan Dog (copertina di Gipi), il primo volume di Ringo (Gabriele Dell’Otto) e l’episodio inaugurale della nuova serie Adam Wild (Enrique Breccia).
Per Sergio Bonelli Editore si tratta dei primi albi speciali mai prodotti in occasione di una fiera del fumetto. E due su tre contengono le storie firmate da Roberto Recchioni raccontate in questo articolo. Una coincidenza? Probabilmente no. Piuttosto, una rivoluzione.
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