Elogio della letteratura fantastica: il secolo della fantascienza
Il Novecento sarà ricordato per le Guerre Mondiali e la tragedia dell’Olocausto. Forse proprio per il terribile impatto che la cruda realtà della Storia ha avuto sulla vita quotidiana di ognuno, però, il secolo breve ha regalato uno slancio inedito alla letteratura fantastica, che ha visto fiorire e affermarsi due tra i suoi generi maggiori.
Dopo aver assistito all’ascesa dell’horror moderno, infatti, il XIX secolo pone le base per la nascita di un altro filone ricchissimo della speculative fiction, ovvero la fantascienza. Pionieri e fondatori del nuovo genere, che raccoglie le suggestioni di alcuni capolavori dell’epoca gotica come Frankenstein di Mary Shelley, sono il francese Jules Verne e l’inglese Herbert George Wells.
Al primo si deve l’originale combinazione tra due particolari tòpoi letterari: il viaggio avventuroso, tema già noto che tuttavia Verne eleva a vette narrative memorabili (non a caso il ciclo di romanzi che lo ha resto famoso è quello dei Viaggi straordinari), e l’anticipazione scientifica, vera e propria caratteristica fondativa del nuovo genere. Diversamente da quanto avvenuto in precedenza nella letteratura fantastica, la fantascienza segna infatti l’introduzione di elementi narrativi di carattere tecnico e tecnologico che rendono trame e ambientazioni verosimili poiché basate – almeno in parte – su conoscenze scientifiche acquisite.
Se Verne si caratterizza per una meticolosa attenzione all’avanguardia tecnologica della sua epoca, dipingendo scenari all’apparenza fantastici ma destinati a diventare realtà nel giro di pochi anni, Wells invece si affida con maggior disinvoltura alla fantasia, arrivando a produrre non solo folgoranti anticipazioni degli eventi storici successivi, ma creando anche veri e propri sotto-generi letterari che riscuoteranno un successo clamoroso nel corso del XX secolo (dall’invasione aliena ai viaggi nel tempo).
Una capacità che nello scrittore inglese nasce, comunque, da una profonda conoscenza del contesto storico, politico e sociale della propria epoca – esaminato anche con numerosi scritti – a ulteriore dimostrazione del legame biunivoco tra realtà e letteratura fantastica. A titolo di esempio basti pensare, spiega Adriano Barone, che La guerra dei mondi (1898) non è altro che una feroce critica al colonialismo britannico, oltre che una riflessione di prospettiva sulla teoria evoluzionistica di Charles Darwin.
«Per la prima volta nella storia della letteratura, un libro mette in scena un’umanità sconfitta e soggiogata, cui non spetta più un ruolo centrale e provvidenziale nelle vicende dell’Universo intero». Con queste parole, Barone descrive perfettamente la capacità di capovolgimento delle prospettive tipica della letteratura fantastica, evidente in Wells quanto in Verne, se è vero che spesso e volentieri i romanzi dello scrittore francese mettono in scena un rapporto travagliato e problematico tra la tecnologia e l’uomo, in grado di portare quest’ultimo sull’orlo della catastrofe individuale e collettiva.
A partire da Verne nella seconda metà dell’Ottocento, per poi proseguire con Wells fino al secondo dopoguerra, la fantascienza attraversa i decenni della belle époque condividendone gli entusiasmi ma anche mettendo in guardia l’umanità dei rischi di una fiducia cieca nel progresso tecnologico. Lo scoppio del primo conflitto mondiale segna uno spartiacque nell’evoluzione della letteratura fantascientifica.
Ciò che di più avventuroso e a suo modo ingenuo aveva contraddistinto la narrativa dei due fondatori raggiunge l’apice nel periodo tra le due guerre – anche grazie alla serie di romanzi di Edgar Rice Burroghs ambientati sul pianeta Barsoom con protagonista John Carter – per poi sparire progressivamente dopo il 1945, inaugurando una nuova stagione che si rivelerà essere l’epoca d’oro della fantascienza.
Tra le due guerre il genere va incontro a un grande successo di pubblico, grazie alla diffusione assicurata da nuove forme artistiche – cinema e fumetto in primis – e allo stimolo costante di riviste come Amazing Stories di Hugo Gernsback e Astounding Science-Fiction di John W. Campbell. È su queste pagine che si forma la generazione di scrittori che darà vita alla Golden age del dopoguerra.
Il successo dei pulp magazines contribuisce anche alla diffusione del racconto come forma di narrazione fantascientifica dopo l’iniziale egemonia del romanzo. Come la letteratura horror in precedenza (Poe e Lovecraft innanzitutto), la fantascienza si mostra infatti a proprio agio con la narrazione breve: Sentinella di Fredric Brown (1954) è solo un esempio tra i più noti.
A dimostrazione dalla fertilità del primo dopoguerra per la letteratura di fantascienza, accanto ai pulp magazines fa la sua comparsa il filone della social science fiction, destinato a grandi fortune nei decenni a venire. Con il nuovo sotto-genere, il processo di elaborazione fantasiosa che aveva riguardato in precedenza solo il progresso tecnico e tecnologico si estende alle scienze umane grazie alla pionieristica opera di Aldous Huxley, Il mondo nuovo (1932)
Gli autori del nuovo filone, consacrato da 1984 di George Orwell (1949), continueranno nei decenni successivi a mettere la critica politica e sociale alla base della loro opere: è il caso di Ray Bradbury e Philip Dick, autori tra l’altro di due pietre miliari come Farenheit 451 (1953) e La svastica sul sole (1962), punti di riferimento per i sotto-generi della fantascienza moderna noti come ucronìa (storia alternativa) e distopìa (anti-utopia).
Accanto allo sviluppo del filone “sociale”, anche la fantascienza più “classica” vive nel dopoguerra un lungo periodo di fecondità, con Isaac Asimov in prima linea. Emblema di scienziato prestato alla letteratura d’invenzione, Asimov può essere considerato insieme ad Arthur Clarke e Robert Heinlein il maggior esponente della cosiddetta hard science fiction, grazie soprattutto al suo Ciclo dei Robot (termine coniato nel 1920 da un altro scrittore di fantascienza, il ceco Karel Čapek).
Vero e proprio creatore di universi narrativi, con il Ciclo della Fondazione e il Ciclo dell’Impero Asimov è anche la principale fonte d’ispirazione per le grandi saghe di fantascienza letteraria (Dune di Frank Herbert) e cinematografica (Star Wars di George Lucas) riconducibili al filone della space opera, dove i destini di mondi, razze, ordini e dinastie si incrociano decidendo la sorte di intere galassie.
Esaurita la spinta della Golden age, gli anni ’60 e ’70 sono caratterizzati dalla cosiddetta New wave della fantascienza, alimentata dalle suggestioni dello scrittore beat William S. Burroughs (in particolare con il ciclo di quattro romanzi che va da Il pasto nudo del 1959 a Nova Express del 1964). In questi decenni, accanto alla definitiva affermazione della space opera, il ruolo da protagonista spetta alla social science fiction, animata dalle opere a sfondo sociale e filosofico di scrittori come Kurt Vonnegut (autore di Mattatoio n. 5, 1969) e Stanisław Lem, che in Solaris (1961) e altri romanzi racconta l’incomunicabilitità tra esseri umani, portando la fantascienza oltre la cortina di ferro della guerra fredda.
Con gli anni ’80 il genere subisce un’ulteriore evoluzione grazie all’affermazione della corrente cyberpunk, che nel solco della miglior tradizione fantascientifica trae ispirazione dall’emergente tecnologia informatica, mescolata a suggestioni provenienti dalla cronaca contemporanea, per produrre scenari desolanti e frequentemente distopici, dove spesso è difficile individuare il confine tra l’uomo e la tecnologia che dovrebbe servirlo. I maggiori esponenti di questo filone, divenuto una vera e propria sub-cultura in grado di contaminare altre forme artistiche a partire dal cinema, sono Bruce Sterling e William Gibson, autore tra l’altro di Neuromante (1984), romanzo simbolo del cyberpunk.
Con il progressivo esaurimento delle influenze cyberpunk, arrivate a lambire i primi anni del terzo millennio, la fantascienza sembra aver subìto una battuta d’arresto, dovuta anche alla scomparsa degli ultimi grandi autori come Michael Crichton. Tanto da spingere alcuni a dichiarare il genere ormai morto e sepolto. Come mai? Perché «la fantascienza è la letteratura del cambiamento», dicono alcuni, e il crollo del muro di Berlino ha prodotto una scena politica internazionale a senso unico priva degli spunti necessari alla fantascienza più “sociale”. Oppure, sostengono altri, il genere è morto perché il futuro è già qui: tra smartphone e Google glass, cosa resta da inventare agli scrittori di fantascienza “tradizionale”?
Il dibattito sulla morte della fantascienza è una costante della scena letteraria mondiale da almeno qualche decennio. Come sperare allora di risolvere in poche righe un enigma così intricato? Di certo, si può registrare un fatto: se anche la fantascienza non è morta, sicuramente non gode di buona salute ultimamente, almeno sugli scaffali delle librerie. C’è un altro genere, al contrario, che pare ancora oggi in grande forma: è il fantasy, terzo pilastro della letteratura fantastica, che proveremo a conoscere più da vicino con il prossimo articolo. Appuntamento tra una settimana sulle pagine di Discorsivo!
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