Habibi, di Craig Thompson
Tutte le storie sono connesse. Dev’essere così. Perché altrimenti, chiudendo un libro appena letto per la prima volta, capita di provare una sensazione di malinconica familiarità? Qualcuno dirà: «È perché le storie si assomigliano tutte». Può darsi. Ma non ne farei una questione di intreccio, o di trama. Il punto è che alcuni racconti vibrano a una certa intensità, sollecitando corde del nostro vissuto così profonde da andare oltre la nostra percezione razionale.
E allora accade che appena finito Habibi, l’ultimo graphic novel di Craig Thompson, arrivino alla mente – in punta di piedi e senza essere attesi – i versi della canzone Sempre e per sempre di Francesco De Gregori: «Pioggia e sole cambiano | la faccia alle persone. | Fanno il diavolo a quattro nel cuore, e passano | e tornano | e non la smettono mai. | Sempre e per sempre tu | ricordati | dovunque sei, | se mi cercherai… | Sempre e per sempre | dalla stessa parte | mi troverai».
In queste poche parole c’è tutto il senso di Habibi. Un racconto che ha per protagonista l’amore: un sentimento, però, che non è puro ed effimero come quello di Blankets, altro capolavoro firmato Craig Thompson. Il protagonista di Habibi, infatti, non è il primo amore di due giovani americani, ma il legame profondo e indissolubile che unisce Dodola e Zam, una ragazza araba e l’orfanello nero di cui si prende cura come se fosse un fratello minore.
Il racconto non è localizzato con precisione da un punto di vista geografico e storico: Dodola è nata in un piccolo villaggio orientale segnato dalla povertà, al punto che i genitori devono venderla ancora bambina a uno scriba, che la prende in moglie. Dal marito Dodola impara a leggere, scrivere e amare le storie, che saranno una costante nel corso della sua vita e della narrazione stessa: la trama di Habibi è un intreccio complesso, come un arazzo di storie che si rincorrono e si intrecciano, a volte parallele a volte contrapposte.
Tutto cambia il giorno in cui Dodola viene rapita da una banda di trafficanti di uomini, che intendono venderla come schiava. A bordo della carovana, la scintilla da cui sgorgherà tutto il racconto: l’incontro con Cam, neonato abbandonato che la bambina prende con sé per impedire che venga ucciso dai suoi aguzzini. La prova di quanto sia forte il legame tra i due si manifesta nel giro di poche pagine, quando Dodola riesce a fuggire dai trafficanti ma torna indietro per di portare con sé Cam, rischiando di essere catturata e uccisa pur di salvarlo.
In fuga dalla città, i due bambini si nascondono in una barca abbandonata nel bel mezzo del deserto, dove un tempo scorreva un fiume ora prosciugato (il tema della distruzione dell’ambiente da parte dell’uomo è un’altra costante del racconto). In quella che diventa presto la loro casa, Dodola fa da mamma e sorella maggiore a Cam, presto ribattezzato Zam (come la fonte sacra della tradizione islamica) per aver trovato una sorgente alla quale i due potranno dissetarsi.
Gli anni vissuti nel deserto creano tra i due bambini – che nel frattempo crescono – un legame di amore assoluto, dove all’istinto materno di Dodola corrisponde il bisogno che ha Zam di avere una figura di riferimento. A riempire le lunghe giornate nella barca, vissute solo ed esclusivamente insieme, ci pensano le storie: Dodola ne racconta a Zam un’infinità, trascinando il lettore in un vortice di tradizioni millenarie cui è impossibile resistere.
Grazie a studi estetici e culturali approfonditi che hanno richiesto anni di ricerca e lavoro, Craig Thompson è riuscito a ricreare tutta l’atmosfera e la magia della calligrafia araba e dell’illustrazione orientale, con tavole ricchissime e dettagliate, rappresentando con grande forza aneddoti e racconti tratti dalla tradizione islamica e da quella cristiana, spesso confrontate con grande fascino ed efficacia.
Le storie raccontante dai personaggi entrano in quella principale con una spontaneità che ricorda il lavoro di Marjane Satrapi in Pollo alle prugne, ma con una peculiarità in più: il ruolo centrale della scrittura, elemento portante delle 670 pagine di Thompson, quasi a dire che il ruolo da protagonista in ogni storia spetta a quelle stesse parole che servono a narrarla.
Habibi è tutto questo: uno straordinario contenitore di stimoli e storie, che accanto a una trama principale struggente, a tratti meravigliosa e a tratti angosciante (con passaggi d’impatto devastante, come il capitolo La preghiera dell’orfano, del tutto privo di illustrazioni), porta con sé un rosario di personaggi, racconti, spunti e perle tra loro interconnesse, in una celebrazione rispettosa e potente della forza delle storie e della parola.
La parola e le storie che essa compone sembrano guidare i protagonisti attraverso uno schema di simboli e numeri remoti e misteriosi, anch’essi provenienti dall’antica sapienza araba. E così, mentre tutto appare perduto e il legame tra Dodola e Zam schiacciato dalle piccole e grandi meschinità della vita di tutti i giorni, proprio in quei numeri e in quei simboli è possibile intravedere la risposta ai dubbi dei protagonisti, che sono gli stessi del lettore.
E la risposta è l’amore, in ogni sua forma. Il sentimento che unisce Dodola e Zam, amore come fiducia o addirittura fede nell’altro, un’emozione pura che il mondo cerca di corrompere in ogni modo, costringendo i protagonisti a farsi forza e andare avanti nonostante tutto. E l’amore di Allah, l’amore come fede in un Dio che trasmette la propria saggezza attraverso le parole del Corano e dona il suo esempio con le storie dei profeti, da Gesù a Maometto, da Abramo a Mosè.
E mentre i protagonisti affrontano con fragile umanità momenti come la gravidanza e l’adolescenza, circostanze proibitive come la povertà e la prigionia, stati d’animo intensi e altalenanti come quelli scaturiti dalla sessualità, dalla castità e dal difficile rapporto con il proprio corpo, la vita va avanti inarrestabile, travolgendo con l’eterna costante del mutamento tutte le loro certezze.
Tutte, tranne una: l’amore che li lega. Ed ecco allora, a collegare l’inizio e la fine intrecciando tutte le storie tra loro, ancora i versi di De Gregori: «Tu non credere | se qualcuno ti dirà | che non sono più lo stesso ormai. | Pioggia e sole abbaiano e mordono | ma lasciano, | lasciano il tempo che trovano. | E il vero amore può nascondersi, | confondersi, | ma non può perdersi mai… | Sempre e per sempre | dalla stessa parte | mi troverai».
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Dedicato ad Alessandra, che oggi compie gli anni, che mi ha fatto conoscere Craig Thompson e che mi ha consigliato più volte di leggere Habibi.
E a Lucia, che mi ha regalato il fumetto senza bisogno di nessuna ricorrenza particolare, ma in un giorno come un altro, solo per farmi sorridere e permettermi di affrontare meglio le piccole e grandi meschinità della vita di tutti i giorni.
Grazie!
Che dire? Le parole mi emozionano…quelle di Thompson senza dubbio, ma anche quelle di Luca! Grazie!
Grazie a te per l’emozione sincera! E buon compleanno 🙂
A voi due.
Io vi avverto.
Dopo questo articolo non posso non leggere anch’io Habibi.
E dopo questo articolo so già che il conto dei magoni sarà alto.
…. guardate che il conto per la cioccolata-terapeutica alla fine del tutto, lo giro a voi eh….
🙂
Ah quindi si è conclusa così, senza batter ciglio, l’epoca del “non leggo le storie che finiscono male”? 🙂
Se per farti conoscere meraviglie come Habibi o L’Eternauta basta pagare il conto di qualche cioccolata, ci sto! 😉