Riforma del Lavoro, istruzioni per l'uso
Dopo mesi di discussioni e trattative, la Riforma del Lavoro targata Monti-Fornero è pronta per l’esame delle Camere. Molto si è detto di questo disegno di legge, che raramente è stato spiegato nella sua globalità. Oggi proviamo a farlo, considerando però che in tutta probabilità l’iter parlamentare apporterà non poche modifiche alla proposta del Governo.
La Riforma del Lavoro si pone tre obiettivi fondamentali: limitare e regolamentare la flessibilità in entrata rivedendo complessivamente le tipologie contrattuali esistenti; riformulare la flessibilità in uscita semplificando modalità e procedure conclusive del rapporto di lavoro; riformare gli ammortizzatori sociali mettendoli a disposizione anche delle categorie di lavoratori finora escluse.
Come raggiungere questi obiettivi? Conosciamo più nel dettaglio il disegno di legge 3.249 del 5 aprile 2012, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. Il primo capo della norma traccia gli obiettivi di massima e predispone gli strumenti di monitoraggio del mondo del lavoro necessari a verificare lo stato della sua attuazione.
Le tipologie contrattuali, in questi mesi tra gli argomenti al centro del dibattito, sono oggetto del secondo capo della legge. In particolare, il Governo intende promuovere un corretto utilizzo dei contratti a tempo determinato: per farlo, viene introdotta un’aliquota aggiuntiva dell’1,4% con l’obiettivo di rendere meno conveniente questa forma contrattuale (saranno infatti rimborsati 6 mesi del versamento al datore di lavoro che assume il lavoratore a tempo indeterminato); è inoltre confermata la proroga massima di 36 mesi comprensiva di rinnovi e vengono prolungati gli intervalli obbligatori d’attesa tra una proroga e l’altra per scoraggiare la reiterazione di questa tipologia contrattuale a scapito di un contratto a tempo indeterminato.
Tra le altre tipologie oggetto della normativa, il contratto d’inserimento è abolito in favore dell’apprendistato, che intende diventare «il canale privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro». Gli apprendisti dovranno essere assunti con un contratto minimo di 6 mesi e l’impresa potrà averne tre ogni due lavoratori qualificati (prima il rapporto era uno a uno).
Il disegno di legge regolamenta maggiormente il lavoro part-time e a chiamata, disponendo l’obbligo di comunicazione da parte del datore di lavoro per limitare gli abusi. Un vincolo formale che, pur proponendosi di legalizzare due tipologie di contrattazione spesso irregolari, rischia di generare ulteriore sommerso. Da qui il parere negativo, tra gli altri, del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che parla di «nuova e più potente burocratizzazione degli adempimenti» in luogo dell’auspicata efficienza.
Il contratto a progetto dovrà essere utilizzato solo nei casi in cui emerge chiara la natura del progetto stesso, e non come scorciatoia per assumere un collaboratore con mansioni esecutive, ripetitive o analoghe a quelle dei lavoratori già assunti. Giro di vite anche sulle “finte partite Iva”, ovvero i lavoratori autonomi sulla carta ma di fatto impiegati come collaboratori parasubordinati. Scatterà infatti l’obbligo di assunzione per incarichi di durata superiore a sei mesi in un anno da cui il collaboratore ricava più del 75% dei suoi guadagni. Anche in questo caso non sono mancate le polemiche tra chi manifesta l’esigenza di una regolarizzazione del precariato e chi preannuncia un aumento del lavoro sommerso in conseguenza del provvedimento.
Rimane sostanzialmente invariata rispetto a quanto previsto dalla legge Biagi la forma contrattuale del lavoro accessorio, limitata però al solo lavoro agricolo stagionale: un realtà sensibile a livello sia sociale che economico dal momento che riguarda numerosi lavoratori stranieri. Per il tirocinio formativo, invece, si dispone una riforma integrale da attuare con successivi decreti legislativi.
Il capo successivo del ddl «ridisegna la disciplina vigente in tema di flessibilità in uscita, nonché il regime di garanzie del lavoratore». Su questo punto il dibattito è stato molto acceso, in particolare sul tema della riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Nell’instant book intitolato Lavoro: una riforma a metà del guado, gli esperti dell’associazione Adapt spiegano pregi e difetti della Riforma in questo ambito particolarmente controverso.
La prima critica mossa al ddl del Governo riguarda la mancata estensione delle tutele previste dall’articolo 18 ai lavoratori precedentemente sottotutelati: tranne che in caso di licenziamento discriminatorio, esse continueranno a riguardare solo i datori di lavoro con più di 15 dipendenti o 60 in ambito nazionale. D’altro canto, invece di semplificare le procedure decisionali sulle controversie, al giudice viene concessa ancora maggior discrezionalità rispetto alla precedente normativa: l’introduzione in questo senso di un canale preferenziale per le cause di lavoro non è ritenuta una valida soluzione per accorciarne i tempi. Il reintegro nel luogo di lavoro, escluso dalla prima bozza del Ministro Fornero, è ora previsto solo in caso di licenziamenti dovuti a motivi economici infondati.
Il punto più convincente della Riforma sembra essere quello degli ammortizzatori sociali: la nuova Aspi (Assicurazione Sociale per l’Impiego) sostituisce e razionalizza una serie di indennità destinate alla mobilità e alla disoccupazione, e tutela fasce precedentemente escluse come apprendisti e soci lavoratori di cooperativa. Il nuovo strumento previdenziale coprirà per un anno il lavoratore che ha meno di 55 anni e per un anno e mezzo gli over 55.
Per garantire il sostegno al reddito anche nei settori dove non è prevista la Cassa Integrazione, i contratti collettivi dovranno istituire appositi fondi di solidarietà bilaterali per le imprese con più di 15 dipendenti. Il ddl del Governo introduce inoltre una serie di incentivi per il pensionamento anticipato dei lavoratori di maggior anzianità che siano al massimo a quattro anni dal raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione. Da ultimo, viene incoraggiata l’assunzione di lavoratori under 50 disoccupati da almeno un anno riducendo del 50% i contributi a carico del datore di lavoro, riduzione estesa a un anno e mezzo se il contratto è a tempo indeterminato.
Da questa panoramica sul disegno di legge si possono intuire i motivi d’insoddisfazione della parti sociali: mentre Confindustria rileva un ulteriore irrigidimento del mercato del lavoro, i sindacati puntano il dito sul depotenziamento dell’articolo 18 e sulla mancata riduzione del numero di tipologie contrattuali. Sul provvedimento la stampa si mostra divisa tra aperture di credito e sonore bocciature, e la politica non è da meno: a fronte di un moderato apprezzamento del Pd, infatti, il Pdl ha manifestato più volte le sue forti perplessità.
«Il fatto che la riforma sia stata attaccata alla principali associazioni di imprese e dai sindacati indica che abbiamo mantenuto la bilancia in equilibrio» ha detto Mario Monti. Non tutti gli osservatori la pensano allo stesso modo: per un giudizio complessivo, in ogni caso, è necessario attendere almeno l’approvazione del disegno di legge da parte del Parlamento.
Tag: articolo 18, aspi, confindustria, ddl 3249, elsa fornero, flessibilità, Mario Monti, precariato, riforma del lavoro, sindacati
mi piace parecchio, sia nella struttura che nel contenuto, anche il titolo non è male!
Grazie Enrico, in realtà temo che in generale questo articolo sia un po’ un mattone, sia per la specificità tecnica del tema che per la lunghezza un po’ eccessiva, quindi il tuo apprezzamento non può che farmi piacere. Il titolo, in realtà, è una formula giornalistica un po’ abusata, potevo inventarmi sicuramente qualcosa di meglio… ma se ti piace, più ben che mai! 😉
Aggiornamento: il primo bilancio della Riforma Fornero a nove mesi dall’entrata in vigore. L’analisi è di Marco Palombi per il Fatto Quotidiano: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/17/lavoro-piu-licenziamenti-piu-precariato-dopo-9-mesi-di-riforma-fornero/532613/