Cancellare per educare: censura e libertà d'informazione in Rete
«Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato». Con queste poche parole di 1984, George Orwell ci spiega cos’è la censura: il potere di modificare il passato per (dis)educare le persone e modellare il futuro a proprio vantaggio. Purtroppo però la censura non è un dilemma da romanzo di fantascienza, ma un problema reale che riguarda Paesi del mondo anche tra i più avanzati.
Oggi la battaglia per la libertà d’espressione a livello mondiale è combattuta soprattutto su internet, il mezzo di comunicazione più nuovo e incontrollabile dell’intero sistema mediatico. Come sottolinea il rapporto Freedom on the Net 2011 dell’organizzazione non governativa statunitense Freedom House, però, a tecnologie nuove corrispondono strumenti di repressione innovativi, che spesso riescono nel loro intento censorio anche di fronte ad un medium imprevedibile come la Rete.
Il rapporto d Freedom House, condotto analizzando la situazione di 37 Paesi in tutto il mondo, restituisce un quadro allarmante delle restrizioni imposte al web. Delle 15 nazioni considerate nello studio pilota del 2009, 9 hanno fatto registrare un declino più o meno significativo delle condizioni di libertà nell’accesso a internet, nella navigazione o nella pubblicazione di contenuti. In particolare, la ricerca evidenzia «crescenti blocchi, filtri, azioni legali e intimidazioni da parte dei governi per impedire agli utenti di accedere a contenuti considerati sgraditi. Nei casi in cui queste tattiche siano risultate inefficaci o inappropriate, le autorità hanno fatto ricorso ad attacchi informatici, disinformazione e altri metodi indiretti per alterare l’offerta informativa».
Il contenuto più frequentemente rimosso è quello politico: 15 Paesi su 37 hanno ordinato la chiusura di almeno un sito considerato scomodo, fino al paradosso di democrazie elettorali come Turchia e Sud Corea in cui sono state messe in atto vere e proprie forme di censura politica, con siti chiusi da forze dell’ordine, magistratura o enti creati ad hoc. Mentre Seul cancellava addirittura 65 siti nord coreani, in altre nazioni democratiche come Australia, Indonesia e Italia venivano messe a punto proposte per la limitazione della libertà della Rete, tutte poi abbandonate senza conseguenze concrete.
A rendere queste limitazioni della libertà vere e proprie azioni censorie, scrivono gli autori del rapporto, «c’è un aspetto particolarmente evidente che accomuna tutte le nazioni studiate: l’arbitrarietà e l’opacità che caratterizzano la decisione di applicare restrizioni a determinati contenuti». In molti casi, a volte anche in presenza di leggi che prevedano il contrario, le autorità agiscono in maniera non trasparente, trincerandosi dietro “problemi tecnici” così da evitare di dover fornire spiegazioni. E questo è niente, perché nei casi più eclatanti sono i governi stessi a dirigere gli attacchi informatici che cancellano i siti meno graditi. Tra le 12 nazioni protagoniste dei questi attacchi primeggia la Cina, protagonista tra il 2009 e il 2010 anche di azioni di spionaggio via web in 103 Paesi del mondo per tenere sotto controllo i governanti del Tibet in esilio.
La Cina è di fatto la nazione capofila tra i censori del web da quando nel 2006 ha imposto al motore di ricerca Google la creazione di una versione in grado di filtrare i risultati sgraditi al governo. L’azienda di Mountain View, di fronte alla possibilità di perdere introiti enormi, ha ceduto alla pressione dell’esecutivo cinese, producendo un algoritmo che alterava i risultati delle ricerche in modo da censurare determinati contenuti: scrivendo “Piazza Tienanmen”, ad esempio, su Google China comparivano le foto della piazza ma non le immagini dell’eccidio del 1989. Qualcosa è cambiato quando nel 2010 Google ha deciso di lasciare la Cina spostando il proprio traffico da Pechino a Hong Kong, così da aggirare almeno parzialmente le censure del governo cinese.
Purtroppo però la Cina non è la sola ad avanzare richieste del genere ai grandi produttori di software su scala mondiale: è notizia recente che anche l’India stia provando ad imporre a Google, Facebook e Twitter restrizioni simili a quelle volute da Pechino. La battaglia per la libertà di comunicazione e informazione su internet è ancora tutta da combattere. E non solo in Rete: in 23 dei 37 Paesi considerati dallo studio di Freedom House, infatti, almeno un internauta è stato arrestato nel 2011 per qualcosa che aveva pubblicato online. A questa gravissima misura punitiva si unisce tutta una serie di censure più o meno indirette: dalle intimidazioni alla segnalazione dei contenuti come offensivi, dall’attribuzione di responsabilità legali ai provider fino alla manipolazione delle discussioni online con commenti pilotati.
Il bilancio finale dell’indagine di Freedom House parla di 8 nazioni “libere” su 37, contro 18 “parzialmente libere” e 11 “non libere”, segnalando il pericolo per cinque nazioni parzialmente libere (Russia, Thailandia, Giordania, Zimbabwe e Venezuela) di diventare non libere nel biennio 2011-2012. Dal confronto con il rapporto Freedom of the Press vengono inoltre rilevati limiti e censure sostanzialmente inferiori per la Rete rispetto agli altri media in quasi tutti i Paesi analizzati; è tuttavia evidente, com’era lecito attendersi, un legame di proporzionalità diretta tra libertà di internet e del sistema mediatico nel suo insieme.
E l’Italia? Freedom House classifica il nostro Paese come “libero”, conferendogli un punteggio di 26/100. Più lo score è basso, maggiore è la libertà: un punteggio superiore a 30 significa “parzialmente libero”, uno oltre 60 “non libero” (gli Usa hanno un punteggio di 13/100, la Cina di 83/100). L’Italia conferma dunque l’evidenza per cui la Rete è tendenzialmente più libera degli altri mezzi di comunicazione: per quanto riguarda il nostro Paese, infatti, la differenza è piuttosto evidente dal momento che nello studio Freedom of the Press 2011, la stessa Freedom House classifica l’Italia come Paese “parzialmente libero” e in continua discesa nella classifica mondiale della libertà di stampa.
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Repressione: parola chiave del rapporto 2012 sulla libertà di stampa nel mondo di Reporter Senza Frontiere. In questa classifica, l’Italia passa dal 50° al 61° posto, al di sotto di tutti i principali Stati europei. Uno scivolone giustificato dall’ultima fase del berlusconismo?
…o forse dimostra solo che in Italia si pensa ancora che internet conti poco e nulla: altrimenti non si spiega come a fianco di informazioni del tutto pilotate (Berlusconi e tre reti televisive), permettano di esistere una sacca “libera”. Solo perchè ancora non gli si da peso oppure non ne ha (di certo sottovalutnao il peso economico/sociale, altrimenti si sarebbe agito diversamente). Ma questa è una guerra appena cominciata, con la chiusura di Megaupload e le scaramuccie con tutto il file sharing che stanno avvenendo questi giorni… il futuro ci saprà dire cosa sta accadendo, noi siam nel bel mezzo degli eventi, ancora…
Per quanto riguarda la libertà di stampa, Manuela, purtroppo la nostra continua discesa in tutte le classifiche internazionali non è affatto una novità. In particolare la ricerca di Rsf che citi, realizzata tra l’1/12/2010 e il 30/11/2011, chiama in causa aspetti particolarmente critici per il panorama mediatico italiano: nella nota metodologica si dice infatti che il questionario “misura l’autocensura esistente in ciascun paese e valuta la capacità di critica e di investigazione della stampa. Le pressioni economiche […] e il livello di indipendenza dei media pubblici”. Quindi non mi stupisce l’ennesima discesa dell’Italia in classifica. Non che sia cambiato qualcosa di così rilevante rispetto all’anno precedente, ma se consideri che mentre qualcun altro migliora noi rimaniamo allo stesso livello o peggioriamo, il gioco è fatto…
Quanto a internet, Matteo, credo che i fattori siano diversi: sottovalutazione culturale certamente, ma anche problemi “tecnici” (la Rete è più inafferrabile rispetto ad altri media), oltre al fatto che internet non è di nessuno. Uno come Berlusconi, proprietario delle tre/sei televisioni principali del Paese, non può certo controllare la Rete direttamente come fa con le sue tv, nemmeno volendo. Quanto al fatto che quella per la libertà della Rete sia comunque una guerra tuttora in corso, sono assolutamente d’accordo con te, tanto che ho scritto “La battaglia per la libertà di comunicazione e informazione su internet è ancora tutta da combattere”.