La guerra è finita, andate in pace
«Fuori la guerra dalla storia». In queste parole, scritte su un muro a Santa Maria degli Angeli, è riassunto il senso profondo della Marcia per la pace Perugia-Assisi. Il 25 settembre 2011 oltre centomila persone hanno camminato per 24 chilometri dal capoluogo umbro al paese di San Francesco per ribadire che un mondo di pace è possibile solo se ognuno fa la propria parte.
La richiesta emersa con maggior forza dalla Marcia per la pace riguarda la riduzione delle spese militari dello Stato italiano. Se è esistito un tempo in cui la corsa agli armamenti era la regola, oggi non è più così: in un contesto in cui persino gli avversari storici della guerra fredda hanno firmato un trattato per il disarmo nucleare, è lecito chiedersi che senso abbia spendere decine di miliardi di euro in apparati bellici.
Un interrogativo che diviene ancor più pressante di fronte alla grave crisi economica attualmente in corso: in un momento in cui settori chiave del servizio pubblico come istruzione, sanità e cultura subiscono tagli drastici e spesso compromettenti, perché non attingere ai fondi precedentemente stanziati per le spese militari al fine di risanare i conti pubblici?
Come spiega Luca Galassi di PeaceReporter nel suo dossier Make school not war, nel corso del 2011 la voce “spese militari” peserà per 24,3 miliardi di euro sul bilancio dello Stato italiano: una cifra addirittura in aumento rispetto al 2010, quando la crisi economica attuale era già in corso di svolgimento. Con investimenti per la difesa pari all’1,28% del Pil, l’Italia è all’ottavo posto nella classifica mondiale delle spese militari.
La crisi economica ha spinto il cosiddetto Occidente a ripensare i propri investimenti bellici: mentre in Europa e nord America le spese militari calano drasticamente, solo i Paesi in via di sviluppo, tra cui soprattutto la Cina, vanno in controtendenza. Negli Stati Uniti, che più di tutti al mondo impiegano il proprio denaro nell’apparato bellico, le spese militari saranno tagliate di 5 miliardi di dollari nel 2012. Provvedimenti simili riguarderanno Gran Bretagna, Francia e Germania.
In una situazione del genere, desta perplessità l’impegno assunto dall’Italia per l’acquisto di 131 caccia F35 di produzione statunitense, per una spesa complessiva di 16 miliardi di euro che impegnerà il nostro Paese fino al 2026. Ma la guerra per l’Italia non è solo una spesa. L’industria bellica nazionale, infatti, è più fiorente che mai: con un fatturato 2008 pari a 3,7 miliardi di euro, la produzione di armamenti dell’Italia è seconda solo a quella degli Stati Uniti.
Per tutti questi motivi, con il manifesto dell’edizione 2011 il coordinatore della Marcia per la pace Flavio Lotti chiede al governo italiano l’immediata riduzione delle spese militari. Dalla Perugia-Assisi, che da cinquant’anni rappresenta il culmine dell’impegno nazionale contro ogni conflitto, parte dunque una proposta concreta per garantire al contempo maggior equità sociale e un crescente disimpegno del nostro Paese nei confronti della guerra.
«The war is over» cantavano Jim Morrison e i Doors nel 1968, auspicando in The unknown soldier la fine della guerra in Vietnam. Sono passati oltre trent’anni dalla conclusione di quel conflitto, ma innumerevoli altri ne sono scoppiati in tutto il mondo. La guerra quindi non è finita, ma qualcosa è cambiato comunque, perché forse stanno finendo i soldi per farla.
È ormai tramontata l’epoca d’oro in cui l’industria bellica era un affare per gli Stati nazionali: chiedere la pace oggi significa pretendere scelte vantaggiose da un punto di vista innanzitutto economico, al di là di ogni valutazione etica o morale.
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Aggiornamento:
È di questi giorni la notizia (http://www.asca.it/news-MANOVRA__LA_RUSSA__PREOCCUPA_TAGLIO_DA_1_4_MILIARDI_A_DIFESA-1053802-ORA-.html) del taglio di 1 miliardo e 400 milioni di euro imposto alla forze armate italiane dall’ultima manovra finanziaria varata dal governo: che anche in Italia stiano finendo i soldi per fare la guerra?
Il fatto è che il taglio imposto alle forze armate non è un taglio all’acquisto di armi o alle missioni all’estero, ma un taglio interno…e mi dispiace fare la pessimista, però…da un punto di vista dell’utilità globale, la marcia della pace secondo me può servire solo come spunto per far sì che almeno ogni tanto i media si occupino di pace. Spunto che non so quanto abbiano colto. Per lo meno dissonanze l’ha fatto =)
Concordo su entrambi i punti, Ale. In compenso, però, per vedere il bicchiere mezzo pieno vorrei sottolineare che sì, il taglio alle forze armate non va nel senso sperato, ma è pur sempre un inizio; e che anche se la Marcia della pace non è certo la risposta definitiva ai problemi, se non altro ogni anno riesce a tenere accesa l’attenzione su un problema serio e praticamente eterno come la guerra… che del resto è quello che fanno tutte le manifestazioni: non innescare direttamente un cambiamento, ma far partire la riflessione che può portare ad esso.