Luca Rasponi

Giornalista e addetto stampa, scrivo per lavoro e per passione.

Guerra e comunicazione internazionale

22 ottobre 2007

Pubblicato su

Tesi di laurea in Relazioni internazionali.
Relatrice prof. Gabriella Panarese – Sottocommissione proff. Casali, Donati, Panarese.
Corso di laurea in Scienze della comunicazione.
Università degli Studi di Bologna – Anno accademico 2006/2007.

Introduzione

Il 19 marzo 2003, con l’attacco aereo delle forze statunitensi su Baghdad, scoppia la guerra in Iraq. Questo conflitto, destinato a dar vita ad un acceso dibattito presso l’opinione pubblica internazionale, viene intrapreso dopo che l’Amministrazione degli Stati Uniti, guidata dal Presidente George W. Bush, ha ripetutamente dichiarato di possedere prove che il dittatore iracheno Saddam Hussein sia in possesso di armi di distruzione di massa.

La particolarità di questo conflitto risiede proprio nelle motivazioni che intendono costituirne la base di legittimità, nonché nelle interferenze che esse creano con le norme giuridiche del Sistema Internazionale sorretto dall’ONU. Nonostante le armi di distruzione di massa rappresentino infatti una grave minaccia per la stabilità del Sistema stesso, soprattutto se nelle mani dei cosiddetti “stati canaglia”, agli USA è stato da più parti rimproverato l’unipolarismo dell’azione offensiva, intrapresa nonostante la mancata approvazione da parte delle Nazioni Unite e a scapito della sovranità nazionale dell’Iraq. La situazione è diventata ancor più delicata quando dai rapporti dell’intelligence americana è emerso che l’Iraq non stava sviluppando, né era in possesso, delle suddette armi. Questa notizia ha scosso limitatamente l’opinione pubblica mondiale, perché la giustificazione della guerra da parte americana è scivolata lentamente, in modo quasi impercettibile, dalla minaccia rappresentata da Saddam per il mondo alla necessità di porre fine alla sua sanguinaria dittatura. Per mezzo di una sapiente gestione del proprio flusso comunicativo, la presidenza americana ha saputo contenere i danni in una situazione che rischiava fortemente di sfuggirle di mano, trasformando una guerra per la sicurezza collettiva in una “guerra umanitaria” per i diritti fondamentali degli iracheni.

Resta da capire se le valutazioni iniziali dei servizi segreti USA sulle armi possedute da Saddam fossero in buona fede o meno; inoltre, va risolta l’incognita dell’interesse nazionale: in questa guerra come in tutte le altre nella storia dell’umanità, esso ha giocato un ruolo non trascurabile. Il nodo centrale della questione è se questo ruolo sia stato solamente parziale o abbia avuto un peso maggiore, se non addirittura preponderante, nello spingere gli USA all’attacco militare, e se, di conseguenza, le cause addotte dall’Amministrazione Bush alla scelta di ricorrere al conflitto armato siano giustificabili oppure abbiano costituito semplici pretesti per garantirsi l’approvazione degli altri membri della S.I. in una situazione al limite del diritto internazionale.

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